La danza orientale, così aperta agli influssi di vari popoli e a contaminazioni, presenta movenze non standardizzate, sempre creative e soggette ad evoluzioni,. Ciascun stile si basa su ritmi particolari, uso di accessori e costumi diversi. I più famosi sono il raqs sharqi, il beledi, il folk, il saidi, il sa’abi e il khaliji.
Attualmente lo stile forse più diffuso è il raqs sharqi, nato in Egitto dall’unione con la danza classica europea. La danza del ventre originariamente era piuttosto statica, non aveva bisogno di grandi spazi. Con l’apertura, nei primi decenni del Novecento, dei casinò e dei cabaret, sorse l’esigenza di coprire il più largo spazio del palcoscenico e alcuni movimenti del classico come chassè e arabesque, erano particolarmente funzionali.
Si predilige danzare sulle mezze punte, e il virtuosismo della solista è fondamentale. Il sharqi si basa molto sull’impianto coreografico, almeno nello scheletro del brano, che può lasciare poi spazio a parti di improvvisazione. Oltre ai movimenti di gambe e bacino, di rilievo è l’ausilio delle braccia, come nella danza classica. Oggi i brani musicali scelti sono piuttosto complessi e per lo più di derivazione contemporanea.
Lo stile “beledi” si configura come una danza popolare, genuina, ma legata alla città. Tra la fine dell’Ottocento e i primi vent’anni del Novecento, in Egitto si verifica un cambiamento epocale in cui gran parte della popolazione, prima rurale, si trasferisce in città. Gli egiziani portano con sé, ovviamente, la cultura tradizionale, e quindi anche la musica e la danza, che si arricchisce però di nuovi elementi.
Un simile accadimento di facile intuizione è quello legato agli schiavi di colore, deportati dall’Africa per lavorare in America, in particolare al Sud. Qui gli schiavi neri mantennero un forte legame con la propria musica e in particolare con il canto, come mezzo di comunicazione e di identità culturale forte, nonché come forma di ribellione ai bianchi. Nel tempo avvenne una fusione tra la tradizione musicale africana, legata alla cultura contadina e a quella guerresca, e la cultura europea-americana. Da qui deriva lo stile blues e il jazz.
Tra l’altro proprio il jazz servì a contaminare anche la danza orientale beledi.
Caratteristica di questo stile, che si sviluppa in particolare nella famosa Mohammed Alì Street, è prima di tutto l’improvvisazione della danzatrice e degli strumenti musicali, che esprimono tutto lo struggimento e l’intensità del nuovo cittadino che si trova ad affrontare una realtà di vita completamente diversa rispetto alla tranquillità rurale.
Si danza per lo più con i piedi a terra, come nello stile popolare tradizionale, e le braccia hanno un minore risalto rispetto ai movimenti del bacino, che sono comunque contenuti soprattutto piuttosto localizzati sul posto. I movimenti delle mani invece sono caratterizzati.
Il folk – Sha’abi è lo stile popolare per antonomasia. E’ fortemente legato alla terra e ai suoi valori, è una danza collettiva, spontanea e gioiosa, dove non si segue una tecnica precisa. I movimenti del bacino e delle gambe, spesso molleggiate, sono più rilevanti rispetto alle braccia, come nel beledi. Veniva praticata dalle ghawazi che spesso univano alla danza anche elementi acrobatici, come il tenere in equilibrio spade e brocche.
Lo stile Khaliji ha come origine i Paesi del Golfo e si tratta di una danza purificatoria, nata per scacciare la negatività, danzata per lo più collettivamente. in questo stile sono protagonisti il busto, la testa e i capelli, che si muovono in modo fluido, sulla base di particolari passi sussultori.
Concludo dicendo che negli ultimi decenni gli stili della danza orientale stanno subendo delle “contaminazioni” da altre danze internazionali quali i ritmi latino americani, il samba, il flamenco, le danze polinesiane, nonché la danza indiana e quella africana. Un mix di movenze “ibride” che rendono ancora più complesso e variegato il bellissimo mando della coreutica orientale.