Intervista a Fabio Berto

 

Fabio Berto è un percussionista e insegnante specializzato nei ritmi orientali, afrocubani e latini.

Come ti sei avvinato alla musica?

La passione per la musica mi è stata trasmessa da mio padre, già chitarrista e tastierista, fin da piccolo.

All’ età di dodici anni ho cominciato ad arrangiare percussioni improvvisate con lattine, cucchiai, pentole, secchi e quant’altro. A quattordici anni mi piaceva dilettarmi in esperimenti rudimentali di composizione midi e ho cominciato a suonare i miei primi tamburi accompagnato da basi percussive da me create. Nel 1994 sono entrato a far parte di “African Brothers”, orchestra multietnica locale di percussioni Africane miste a ritmi Brasiliani. Questa esperienza mi ha permesso di acquisire una buona conoscenza degli strumenti e dei ritmi tradizionali del Guinea, Mali, Senegal, Costa d’Avorio, Burkina Faso ed inoltre Nigeria e Brasile. Man mano ho approfondito studi e collaborazioni musicali, avvertendo un particolare interesse per la Conga e lo stile percussivo afrolatino, successivamente per la cultura musicale Senegalese e degli strumenti tradizionali. Parallelamente continuavo uno studio sui ritmi Brasiliani e sulle percussione popolare Afrocubana, Classica Cubana e Jazz Cubano.

Quali obiettivi stai perseguendo attualmente?

Faccio parte di un quintetto che si chiama “Iroko Latin Jazz Quintet” e che riesce a darmi respiro, libero sfogo a ciò che devo dire ed esprimere con la mia musica. L‘idea mi è stata proposta dal sassofonista Livio Zanellato e da lì è partito il progetto che prende vita anche grazie al pianista Rino Nicolosi, il contrabbassista Silvano Manco e dal defunto batterista Gianni Branca, sostituito da Andrea Marchesini, attualmente il batterista stabile del quintetto. Inoltre proseguo l’attività di insegnamento.

Quali prospettive hai per il futuro?

Per me la musica ha una connotazione spirituale. La porto sempre con me per cui non la considero nè un lavoro, ne tantomeno una passione hobbistica. Non è facile soprattutto in Italia e in un panorama musicale piatto e standardizzato, portare a conoscenza le percussioni che non hanno un posto privilegiato nell’orchestra, purtroppo. Invece proprio i tamburi da sempre sono espressione musicale viva che sorregge ritmo, tempo e linguaggio. Paradossale che venga sottovalutato soprattutto in Occidente, dove nelle scuole di musica si tende ad un generale appiattimento delle nozioni e quindi dell’apprendimento. Eppure le percussioni sono nate prima come forma di culto, poi sono entrate a far parte del folk e infine dell’espressione popolare, in stretto dialogo con le forme della natura. Quindi significa che si è sempre parlato di una musica molto viva, anche irregolare e asimmetrica, e legata alla spiritualità. Ciò è molto distante da certe ritmiche classiche statiche e inquadrate. Ciò che cerco quotidianamente è far conoscere la straordinaria bellezza e potenza del tamburo e del suo profondo significato, anche filosofico.